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Categoria: Cinema
Creato Sabato, 01 Ottobre 2011

L'ultimo terrestre, recensione di Luca Baroncini (n°139)     

di G. Pacinotti

con G. Spinelli, A. Bellato, T. Celio,  S. Scherini, R. Herlitzka, L. Marinelli

L’arrivo degli alieni, in un futuro non troppo lontano, è imminente e il mondo si prepara come può. C’è chi ha già fiutato il business e propone seminari e corsi specifici, chi si rifugia nel mistico, chi trova conferme delle proprie tesi razziste (“adesso ci ruberanno il lavoro, come hanno fatto i cinesi prima di loro!”), chi ha già avuto modo di entrare in contatto con alcuni extra-terrestri in ricognizione e ha scoperto che cambiare in meglio si può, ma la maggioranza pare vittima di un torpore dato da una tediosa routine fitta di punti interrogativi senza risposta: il paese è in crisi, il lavoro manca, la soddisfazione latita e la disillusione impera. C’è poca speranza, infatti, nel microcosmo di mesta umanità messa in scena, incapace di sognare, immaginare e quindi anche di agire per un futuro, personale e collettivo, migliore.

Il protagonista, però, è Luca Bertacci, un ragazzo, ormai uomo, misogino e timido, diffidente nei confronti del prossimo. È suo il punto di vista del film, quello di un personaggio straniato e stranito che da un’invasione extra-terrestre, da un cambiamento imposto dall’alto, non può che trarre benefici. La pensa come lui suo padre, il bravo Roberto Herlitzka, che trova in una silenziosa aliena la compagna simpatica e arrendevole che la moglie non è mai stata.

Il fumettista Gian Alfonso Pacinotti debutta sul grande schermo con un film molto personale, liberamente ispirato alla graphic novel “Nessuno mi farà del male” di Giacomo Monti, che colpisce subito per lo stile grottesco con cui costruisce una pessimistica allegoria del presente. Moderatamente divertente, a un passo dal realismo ma vicino alla farsa, il film si mantiene per buona parte in un prezioso equilibrio. Come troppo spesso accade, però, la necessità di una chiusa, imposta dal mezzo utilizzato, esaspera alcune situazioni, inciampa in stereotipi (a quando un transessuale cattivo?), cade in psicologismi facili (la misoginia nata dall’abbandono della madre), e non trova una visione organica che sia in grado di andare oltre alla riuscita di alcune singole sequenze (il rapporto con la prostituta anziana nel negozio di arredamento, la ricerca del padrone del gatto trovato morto, la lezione di agricoltura del padre all’aliena, il pestaggio del transessuale mostrato in un lungo piano sequenza dal parabrezza dell’auto del protagonista).

Si apprezza l’originalità, la sottile ironia, la distanza dall’ovvio e dal didascalico, ma manca quel colpo d’ala in grado di rendere lo stile non solo personale, ma anche davvero comunicativo.

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