Cinema
Plan 75, recensione di Luca Baroncini
di Chie Hayakawa
con Chieko Baisho, Hayato Isomura, Stefanie Arianne
La fantascienza nel salotto di casa. Non c’è infatti bisogno di grandi effetti speciali e di chissà quali scenari per generare un futuro distopico al cinema. Ne è una chiara dimostrazione l’interessante opera prima di Chie Hayakawa che ipotizza un futuro prossimo in Giappone dove, per risolvere il problema di una popolazione sempre più vecchia, il governo istituisce il “Plan 75”, un provvedimento che offre supporto logistico ed economico agli anziani che decidono di sottoporsi a eutanasia. Unico requisito richiesto: avere compiuto 75 anni.
Ritorno a Seoul, recensione di Luca Baroncini
di Davy Chou
con Park Ji-min, Emeline Briffaud, Lim Cheol-Hyun
Abbiamo visto tanti film con protagonisti adottati in cerca dei propri genitori biologici. L’opera di Davy Chou si differenzia con personalità dalle molte altre con tematica affine perché parte da presupposti diversi.
La protagonista Freddie, infatti, nata in Corea e adottata da genitori francesi, non fa della ricerca dei genitori biologici la sua ragione di vita, ma si ritrova, un po’ per caso (un volo cancellato per il Giappone), un po’ per colmare un’inquietudine che si porta dentro e a cui fatica a dare risposte, a passare un paio di settimane a Seoul. Sola e a migliaia di chilometri dalla sua casa e dai suoi affetti, tutti in Francia, decide di indagare sulle sue origini.
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Nove donne e un mercato, recensione di Luciano Nicolini (n°262)
Mi è capitato, recentemente, di vedere il film “Sette donne e un mistero” di Alessandro Genovesi, approdato alle sale cinematografiche circa un anno fa: nel dicembre del 2021. Si tratta del rifacimento della pellicola intitolata “Otto donne e un mistero” realizzata nel 2002 da François Ozon, e costruita, a sua volta, a partire dall’opera teatrale “Huit femmes” di Robert Thomas (del 1958).
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Niente di nuovo sul fronte occidentale, recensione di Luca Baroncini (n°262)
di Edward Berger
con Felix Kammerer, Albrecht Schuch, Daniel Brühl
Diciamolo, il film è potente e in grado di scuotere, ma è anche un supplizio, perché violenta lo spettatore con una sequela pressoché ininterrotta di orrori.
Ma procediamo per gradi. Si tratta del terzo adattamento cinematografico, piuttosto libero, dell’omonimo romanzo di Erich Maria Remarque ed è ambientato tre anni dopo l’inizio della Prima Guerra Mondiale; racconta la progressiva presa di coscienza di quattro ragazzi che si arruolano nell’esercito tedesco con il candore della giovinezza, la testa piena di slogan inneggianti al culto dell’onore e della difesa della patria e l’idea di apprestarsi a vivere una grande avventura.
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The Dropout, recensione di Luca Baroncini (n°261)
(miniserie tv)
Dalle stelle alle stalle il passo può essere breve. Ce lo ricorda la miniserie televisiva “The Dropout”, disponibile su Disney +, che racconta ascesa e declino di Elizabeth Holmes, nel 2015 “la miliardaria fattasi da sé più giovane e ricca d’America” (secondo la rivista di economia statunitense Forbes) e nell’anno successivo “uno dei leader più deludenti del mondo" (secondo Fortune, altra rivista di economia americana). Non è quindi un caso che se cerchiamo il suo nome su internet compare prima di tutto come truffatrice. Una truffatrice che con la sua startup Theranos (un misto tra “terapia” e “diagnosi”), fondata nel 2003, è stata capace di manipolare e ingannare fior di politici e imprenditori che l’avevano sostenuta (tra cui Henry Kissinger, Bill Clinton, George Shultz, Rupert Murdoch), ma soprattutto centinaia di cittadini americani.
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Berlinale 2023, di Luca Baroncini (n°261)
Dopo due anni di assenza torno alla Berlinale e trovo un festival in forma ma una città un po’ acciaccata. Se infatti la Berlinale offre la consueta programmazione cinematografica varia e curiosa, in cerca di un centro tra nomi di richiamo e slanci autoriali, Berlino sembra invece in una fase di transizione: cantieri ovunque, molte vetrine abbassate, prezzi alle stelle. Sembra, almeno in apparenza, che il covid abbia prodotto più danni di quelli con cui ci confrontiamo in Italia nel quotidiano. Forse è solo un percepito, ma l’impatto che qualcosa sia cambiato, e non in meglio, è più evidente qui che altrove.
Holy Spider, recensione di Luca Baroncini (n°260)
di Ali Abbasi
con Mehdi BajestaniZar, Amir-Ebrahimi, Arash Ashtiani
Tra il 2000 e il 2001 un serial killer seminò il terrore nella cittadina iraniana di Mashhad.
Saeed Hanaei, questo il nome dell’assassino, era un uomo apparentemente mite, padre di famiglia e fervente religioso. Nel suo agire abbordava prostitute lungo la strada, le portava in casa approfittando di temporanee assenze della famiglia, e le strangolava. Il suo scopo era quello di purificare il paese dalla depravazione. Il caso ebbe vasta eco perché Hanaei uccise sedici donne e suscitò atti di emulazione che continuarono anche dopo il suo arresto.
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Strange World – Un mondo misterioso, recensione di Luca Baroncini (n°260)
di Don Hall e Qui Nguyen
Il cinema, anche quello di pura evasione, può essere importante spunto di riflessione sulla contemporaneità. È il caso del film di animazione di Don Hall e Qui Nguyen. Si tratta infatti del primo Classico Disney con un personaggio dichiaratamente gay e tutto il progetto è calibrato al millesimo per farsi manifesto di inclusione: un nucleo familiare multietnico, figure femminili centrali e in ruoli di potere, una fluidità non solo allusiva ma parte integrante del racconto che supera di slancio la fase del coming out per inserirsi senza traumi nel vivere quotidiano.
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Le otto montagne, recensione di Luca Baroncini (n°259)
di Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch
con Alessandro Borghi, Luca Marinelli, Filippo Timi, Elena Lietti
Un libro Premio Strega, l’omonimo romanzo di Paolo Cognetti, incontra due registi belgi, Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch.
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The Son, recensione di Luca Baroncini (n°259)
di Florian Zeller
con Hugh Jackman, Laura Dern, Vanessa Kirby, Zen Mcgrath, Anthony Hopkins
Il drammaturgo Florian Zeller ha creato una trilogia dedicata alla famiglia che ha mietuto successi teatrali un po’ ovunque. Di “The Father” ha anche scritto e diretto la trasposizione cinematografica, debuttando alla regia e ottenendo ampi consensi, tra cui anche l’Oscar per la migliore sceneggiatura non originale (e il film anche quello per il migliore attore ad Anthony Hopkins).
Tori e Lokita, recensione di Luca Baroncini (n°258)
di Luc e Jean-Pierre Dardenne
con Mbundu Joely, Pablo Schils, Marc Zinga, Claire Bodson
Si dirà che i fratelli Dardenne fanno sempre lo stesso film, applicando il rigore formale che fin dagli esordi li caratterizza al disagio di personaggi borderline, specchio delle contraddizioni del quotidiano che fingiamo di non vedere. Probabilmente è vero, ma oltre al fatto che lo fanno quasi tutti gli autori, averne di film così, in grado di scuotere le coscienze e mostrare ingiustizie sociali che sono sotto gli occhi (chiusi) di tutti
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Cinema e cibo, di Luca Baroncini (n°258)
“Mangiare è uno dei quattro scopi della vita… quali siano gli altri tre, nessuno lo ha mai saputo”.
Lo dice un proverbio cinese e in effetti la passione per il cibo non conosce crisi ma, anzi, negli ultimi anni, covid permettendo, è aumentata a livello esponenziale. Nel post pandemia gli unici locali che sono sempre pieni sono i ristoranti. Soprattutto quelli di qualità, perché il cliente sembra essere sempre più esigente. Ad affinare il gusto, più del palato, sono il sistema delle recensioni, spada di Damocle di ogni ristoratore, e i vari format televisivi, dai reality show alle docuserie, che abbinano il tema gastronomico al lato umano, attraverso competizioni accesissime a suon di lacrime e manicaretti prelibati.
Triangle of Sadness, recensione di Luca Baroncini (n°257)
di Ruben Östlund
con Harris Dickinson, Charlbi Dean, Woody Harrelson, Zlatko Buri
Il regista svedese Ruben Östlund ci ha abituati a un cinema provocatorio e spiazzante in grado di scardinare certezze e luoghi comuni. Quello che ci propone con “Triangle of Sadness” è un nuovo viaggio nelle convenzioni sociali e nei giochi di potere alla base dei rapporti umani, dove a volte ci si trova dominati e altre sottomessi.
L’opera, premiata a Cannes con il massimo riconoscimento - la Palma d’Oro (e per Östlund è la seconda dopo quella per “The Square” nel 2017) - si compone di tre raccordi, accomunati da due protagonisti, un modello e una modella/influencer, che li attraversano tutti.
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“Margini” nasce dalla volontà di Niccolò Falsetti (regista e cosceneggiatore) e Francesco Turbanti (protagonista e cosceneggiatore) di raccontare una storia in cui si intrecciano amicizie e bisogno di realizzare le proprie ambizioni in un contesto poco complice come quello della provincia italiana (ma forse è lo stesso in tutte le province del mondo): un microcosmo fatto di regole tacite in cui o sei dentro, e ti omologhi, oppure sei fuori e diventi quello strano, disadattato, incapace di capire come gira il mondo. Oppure fuggi. Michele, Edoardo e Iacopo vivono nella Grosseto del 2008, sono amici da sempre e formano un gruppo street punk hardcore. Nei loro piani c’è quello di invitare la band americana Defense in città e di suonare come gruppo spalla, ma quando il progetto sembra andare in porto subentrano mille difficoltà e non tutto andrà secondo i piani. A parlarci del film, presentato in concorso alla “Settimana internazionale della critica” al Festival di Venezia 2022, dove ha vinto il premio del pubblico, sono proprio i due ideatori.
Il vostro film mescola abilmente commedia e dramma. Lo avete subito pensato così oppure il taglio si è definito strada facendo?
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