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Categoria: Cinema
Creato Martedì, 01 Febbraio 2011

Hereafter, recensione di Luca Baroncini (n°132) 

di C. Eastwood 

con M. Damon, C. De France, G. and F. McLaren, B. D. Howard

Il prolifico Clint Eastwood sta diventando sempre più simile a Woody Allen, non tanto nell’approccio cinematografico, quanto nel tentativo di combattere l’avanzare del tempo attraverso la propria arte. E, come un Allen non particolarmente riuscito regala più battute di tanti altri film, anche un’opera di un Eastwood un po’ sottotono riesce comunque a distinguersi. Il tocco è quello minimale e semplice che da sempre caratterizza il regista di San Francisco, già doppio premio Oscar per “Gli Spietati” e “Million Dollar Baby”: assenza di virtuosismi, linearità narrativa e una certa frugalità, che non significa sciatteria, nella messa in scena.

Il tema, solo sfiorato, è quello della vita dopo la morte: una giornalista francese affermata sfugge alla devastazione di uno tsunami mentre è in vacanza, un bimbo inglese prova a sopravvivere alla morte dell’adorato gemello e un operaio americano deve quotidianamente fare i conti con il peculiare potere di entrare in contatto con i defunti.

Nonostante la morte aleggi costantemente, e almeno due sequenze si caratterizzino per la forte resa emotiva (lo tsunami iniziale e la morte del fratellino), il tono è lieve, possibilista e consolatorio. Anche superficiale, perché si limita a concretizzare l’aldilà come una rapida successione di volti sfocati e opta per svolte convenzionali, e anche furbe, che sfumano il tema in apparenza dominante in quello della ricerca di se stessi e della propria identità. Una scelta che limita la portata del progetto a una storia, tutto sommato ordinaria, di destini che si uniscono.

Un soggetto quindi decisamente poco originale, anche nelle ipotesi che indagano il paranormale, sviluppato attraverso una sceneggiatura dalla costruzione schematica (l’escamotage di una fiera letteraria per far incontrare i tre protagonisti è un po’ debole e sembra arrivare più che altro per la necessità di chiudere il cerchio), ma con il pregio di fornire più domande che risposte. Aspetto da non sottovalutare per interpretare un’opera che, pur con qualche approssimazione di troppo, ha il pregio di cullare il lato irrazionale con mano delicata.



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