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Categoria: Cinema
Creato Venerdì, 01 Dicembre 2006

Maria Antonietta, recensione di Luca Baroncini (n°86)

di S. Coppola

con K. Dunst, J. Davis, R. Byrne, A. Argento

Diciamo la verità! Con lo sfondo della meravigliosa Reggia di Versailles, le scenografie sontuose di K. K. Barret e i favolosi costumi di Milena Canonero (“Barry Lindon”, “Arancia Meccanica” e “La mia Africa”, tra gli altri) non è difficile rapire l’occhio dello spettatore. Ma Sofia Coppola, oltre ai soldi di papà (Francis Ford Coppola figura tra i produttori) ci mette anche del suo. La figlia d’arte si è infatti distinta fin dal debutto, con “Il giardino delle vergini suicide”, per una particolare sensibilità in grado di cogliere con spontaneità spigoli caratteriali e modi di essere. Se sull’esordio grava ancora la voglia di dimostrare, nel successivo (e un po’ sopravvalutato) “Lost in translation” l’incontro di due solitudini a Tokyo si distingue per la pacatezza dello sguardo.

Alle prese con la principessa austriaca Maria Antonietta, sposa quattordicenne dell’inetto Luigi XVI in un mondo dominato da etichetta, rivalità e pettegolezzi, Sofia Coppola adatta il personaggio storico alla sua personale visione, trovando nella futura regina di Francia un’altra solitudine a cui affezionarsi. Ciò che trapela nella libera trasposizione della Coppola, anche sceneggiatrice, basata sulla biografia di Antonia Fraser “Maria Antonietta: la solitudine di una regina”, è il conflitto tra il ruolo sociale, ovviamente imposto e non scelto, e i desideri di una ragazzina come tante, che forte della sua giovane età vorrebbe  semplicemente incontrare le amiche, andare alle feste, cambiare vestiti, trovare un grande amore, insomma, divertirsi.

Il rischio è di arrivare solo alla superficie del personaggio, grazie a una cura formale che rende il film accattivante e piacevole senza che la Storia e il suo peso si sentano più di tanto, ma nel film di Sofia Coppola la forma diventa sostanza perché esplicita con grazia, gusto per la composizione delle immagini e capacità di creare un’atmosfera non realistica ma evocativa, quella che potrebbe essere l’anima del personaggio. Non una biografia tradizionale, quindi, ma una personale interpretazione.

Determinante il contributo della colonna sonora che, spaziando tra i generi musicali ma prediligendo sonorità rock, puntella con originalità la maggior parte delle sequenze dando il “mood”, cioè l’umore, al film. Buona anche l’interpretazione di Kirsten Dunst, che riesce a farsi portatrice di una credibile positività venata di malinconia.

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