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Categoria: Cinema
Creato Sabato, 01 Aprile 2017

Isabelle HuppertLe cose che verranno – L’avenir, recensione di Luca Baroncini (n°200)

di Mia Hansen-Løve

con Isabelle Huppert, Edith Scob, Roman Kolinka, André Marcon

Nathalie è una professoressa di filosofia di mezza età che ama il suo lavoro. La filosofia è pane quotidiano perché la insegna anche il marito, mentre il figlio e la figlia adolescenti più che altro la subiscono.

Una madre anziana e ansiosa complica un po’ la routine che per il resto scorre tranquilla e pacata, con i riti della famiglia che si intrecciano in modo armonico con quelli del lavoro.

Le cose cambiano quando la figlia scopre che il padre ha una relazione con un’altra donna e lo mette alle strette davanti alla scelta di restare in famiglia o andarsene. Nessuna scenata, difesa a oltranza, discussioni allo sfinimento, del resto siamo in un film francese in un contesto alto borghese un po’ snob, e lo snodo narrativo evolve nella presa di coscienza pacata di un dato di fatto. Il dolore per la forzata separazione c’è, ma si interiorizza e la protagonista si appella ancora una volta alla ragione, ottima alleata nel nuovo cammino che si trova ad affrontare. Intanto la vita va avanti, le stagioni si succedono, e la solitudine si amplifica perché i figli crescono ed escono di casa e l’anziana madre finisce in una casa di riposo. Vivere si rivela un’inevitabile alternanza di momenti positivi e negativi in cui i punti fermi sono i legami familiari e il nutrimento intellettuale.

È tutto qui il film di Mia Hansen-Løve. Può sembrare poco, ma non lo è, perché la regista riesce a mettere in scena contraddizioni e peculiarità del personaggio con leggerezza e complicità. Per dire, ha un passato da contestatrice, ma non incita gli studenti allo sciopero per rivendicare i loro diritti o sostenere quelli degli altri, bensì li esorta ad andare in classe per studiare. Il suo obiettivo è quello di farli ragionare con la propria testa. Sono i piccoli gesti a dare verità a un ritratto di donna che non si preoccupa di diventare tutte le donne, ma che grazie alle sue specificità finisce per rendere il suo sentire universale. Ed è proprio per questa scelta di non inseguire il pubblico, ma di farsi seguire, che si arriva a fine proiezione con gli occhi lucidi e la sensazione di essere stati testimoni di un punto di vista prezioso.

Determinante il contributo di Isabelle Huppert, splendida icona di affettività disfunzionali (qui accantonate), freddezza e distacco e, come ha dichiarato alla Berlinale 2016, dove il film è stato presentato in concorso e ha vinto l’Orso d’Argento, “tutto meno che sentimentale!”.

 

 

 

 

 

 

 

 

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