Stampa
Categoria: Cinema
Creato Venerdì, 01 Aprile 2016

MistressMistress America, recensione di Luca Baroncini (n°189)

di Noah Baumbach

con Greta Gerwig, Lola Kirke, Heather Lind, Michael Chernus

Siamo talmente abituati a confrontarci con un cinema, riflesso della società in cui viviamo, dove è obbligatorio essere vincenti, pena l’esclusione dalle cose belle, che trovarsi a tu per tu con due ragazze decisamente non risolte è una boccata d’aria fresca. Tracy è una matricola in un college newyorchese e si sente sola, incompresa e irrealizzata. La madre è in procinto di risposarsi con un uomo la cui figlia Brooke, trentenne, vive anch’essa nella Grande Mela.

La conoscenza tra le due sorellastre sarà un’occasione di crescita per entrambe. Ma non immaginiamoci decisioni risolutive, svolte epocali, obiettivi finalmente raggiunti e grandi amori. Niente di tutto ciò, infatti. Semplicemente la vita, con il suo carico di slanci positivi, scivoloni e mediocrità, aggiungerà un piccolo tassello al destino delle due protagoniste.

L’aspetto più interessante del film è nell’impossibilità di classificare i personaggi. Le due ragazze al centro del film sfuggono infatti agli stereotipi iperbolici dell’adolescente in crisi e hanno aspetti conflittuali che le rendono credibili, vere e decisamente imprevedibili. Diverse caratterialmente, una più introversa l’altra esuberante, cercano a modo loro un proprio posto nel mondo. Tracy succhiando la vita della nuova amica come una caramella gustosa, Brooke buttandosi a capofitto nelle cose e placando attraverso continue domande l’assenza di risposte. Nella mancanza di punti fermi del loro vagare si riflette il vuoto di certezze che il presente è in grado di offrire. Tutto pare fluttuare in attesa di qualcosa che non si sa se arriverà e se nel frattempo desideri e consapevolezze mutano non resta che adattarsi con ottimismo al nuovo sentire trasformando la contingenza in una nuova opportunità.

L’obiettivo è stare bene, trovare calore, sentirsi a casa, circondarsi di cose belle, di persone in cui credere, ma come arrivare a tutto ciò pare decisamente fuori portata. In questo senso il monologo che Brooke fa in casa dell’ex-fidanzato per descrivere il ristorante che ha intenzione di aprire è molto significativo, perché attraverso la declamazione, in un soggiorno trasformato in palco, mostra chiaramente come solo la finzione, la recita della vita, il sogno, siano in grado di proteggere le emozioni dalla disillusione della concretezza.

Divertente, ritmato, con dialoghi spumeggianti, il film scivola leggero sui binari della commedia evocando Woody Allen, ma non si limita a intrattenere con brio, riesce anche a farsi specchio della contemporaneità e a offrire spunti di riflessione. A dimostrazione che non c’è bisogno di vincere il Pulitzer o sposare il Principe Azzurro per meritare di essere protagonisti di un lungometraggio.

Il film si potrebbe poi analizzare inserendolo nella filmografia del regista Noah Baumbach, noto per l’approccio minimale e stravagante, confrontandolo con il precedente e affine “Frances Ha”, soffermandosi sulla protagonista Greta Gerwig musa del cinema indipendente, ma si finirebbe per appiccicare all’opera l’ennesima etichetta omologa-recensione.

Non lo fa il regista con i personaggi del film, per una volta, non facciamolo nemmeno noi!

 

 

 

 

 

 

Aggiungi commento


Codice di sicurezza
Aggiorna

Mistress America, recensione di Luca Baroncini (n°189) - Cenerentola Info
Joomla theme by hostgator coupons