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Categoria principale: Esteri Categoria: Asia
Creato Sabato, 01 Dicembre 2007

I tempi stanno cambiando, di Luciano Nicolini (n°97)

I paesi occidentali si riempiono di immigrati. La Cina sta conquistando i mercati mondiali. Lo strapotere del governo statunitense scricchiola. E la destra avanza...

The times they are a-changin’ (i tempi stanno cambiando). Così cantava il giovane Bob Dylan negli anni ‘60, quando un’intera generazione si era convinta che il futuro sarebbe stato diverso e migliore.

I tempi sono, in effetti, cambiati, ma lentamente, e spesso non nella direzione sperata.

Oggi, canzoni del genere non le canta più nessuno. Ma i tempi stanno cambiando, e molto in fretta.

Quei paesi occidentali che avevano retto all’urto di milioni di giovani, che pretendevano di   trasformarli, sono ora invasi da milioni di immigrati, provenienti dalle nazioni più povere; immigrati che, per ora, pretendono soltanto un tozzo di pane ma presto, giustamente, pretenderanno molto di più. E nel frattempo altri paesi in via di rapido sviluppo, come la Cina e l’India, stanno conquistando i mercati mondiali.

Abbiamo già scritto più volte, su questa rivista, che le aggressioni contro l’Afghanistan e contro l’Irak, non rappresentano altro che il tentativo del governo degli Stati Uniti di fermare la crescita dei nuovi concorrenti, impedendo loro l’accesso alle risorse energetiche più ambite: si tratta di un tentativo, finora, riuscito. Ma a quale prezzo!

Riteniamo non sia un caso che il governo statunitense, impantanato in Asia, si sia ridotto a trattare con un personaggio come Chavez, del quale solo pochi anni fa si sarebbe sbarazzato nel giro di 24 ore. Lo strapotere militare gli consente ancora di dominare il pianeta, ma non è più tale da permettergli di intervenire contemporaneamente in tutti i continenti.

La crisi innescata dai mutui subprime, la svalutazione del dollaro nei confronti dell’euro, il rialzo del prezzo del petrolio, per quanto amplificati dalla speculazione finanziaria, sono sintomi del declino dell’impero americano e, con esso, della potenza dei paesi occidentali, inclusi quelli che al momento se ne stanno avvantaggiando. Il relativo benessere nel quale vive la maggior parte della loro popolazione difficilmente potrà durare a lungo: si tratta infatti di un benessere in larga parte dovuto agli elevati consumi; consumi cui le popolazioni dei paesi poveri e, con maggior forza, quelle dei paesi in via di rapido sviluppo desiderano poter accedere.

In tale contesto, all’interno dei paesi occidentali, la destra avanza. Ovvio: non c’è più un forte movimento operaio che reclama l’eguaglianza con la borghesia, c’è una maggioranza della popolazione terrorizzata dall’ipotesi di dover rinunciare ai livelli di consumi che ha conquistato e a cui si è abituata. Il desiderio di conservare prevale su quello di cambiare. Gran parte dei giovani degli anni ’60 e ’70 si sono trasformati in attempati conservatori. E quelli    delle    generazioni successive, nella gran maggioranza, il problema di cambiare il mondo non se lo sono mai posto.

Qualcuno ripone le speranze di un futuro migliore negli immigrati, in coloro che, più di ogni altro, hanno interesse a modificare lo stato presente. Peccato che molti di essi provengano da paesi nei quali le idee socialiste, o l’idea stessa di libertà, non hanno mai attecchito seriamente. Non tutti hanno goduto dei benéfici effetti della rivoluzione francese. E se non si parte da quelli, se non si mettono in dubbio l’autorità dei capi politici e religiosi e la sacralità della famiglia, è difficile costruire il socialismo nella libertà.

Non che nei paesi occidentali le idee della rivoluzione francese siano state pienamente interiorizzate: c’è chi, addirittura, vorrebbe il ritorno dei re; chi si spaccia orgogliosamente per nobile; chi si genuflette davanti al papa e chi, anche tra i compagni, allude in termini positivi alla figura del “padre di famiglia” (vedi l’articolo dell’amico Terracciano a pag. 7). Ma i più, almeno a parole, rivendicano il diritto di pensare con la propria testa e agire di conseguenza; il che non è comune presso i popoli che hanno avuto percorsi storici differenti.

Tutto ciò mi porta a fare alcune considerazioni:

1) E’ molto improbabile che, almeno a breve termine, la sinistra possa essere maggioritaria. Occorre rassegnarsi, almeno per un po’ di tempo, ad essere minoranza. L’operazione portata avanti da chi, come la sinistra istituzionale, cerca di appropriarsi di idee conservatrici per mantenere la maggioranza nei parlamenti è, con ogni probabilità, destinata a fallire (a meno che elimini dai suoi programmi qualsiasi riferimento ai valori di libertà, uguaglianza e solidarietà rendendosi indistinguibile dalla destra).

2) E’ più che mai necessario, nell’ambito della sinistra, evitare di beccarsi l’un l’altro come i polli di Renzo. Il che non significa si debba andar d’accordo con chi si sta allontanando da tali valori o con chi, come gli stalinisti, se ne è allontanato da un pezzo, bensì che occorre, assolutamente, cercare di evitare comportamenti settari o, peggio, offensivi. La litigiosità della sinistra, di certo, non  rafforza le sue ragioni.

3) Al di là di questo, occorre studiare seriamente come intervenire all’interno di una situazione in rapida evoluzione. Quando cambia il teatro delle operazioni devono cambiare anche le strategie.

Nel nostro piccolo, ci stiamo provando. La rivista Cenerentola è nata, e continua a vivere, anche per svolgere una funzione di aggiornamento, interpretazione e proposta libertaria sull’evoluzione della società contemporanea.

Aggiornamento significa far conoscere, in tempo utile, quali sono i mutamenti in corso (gli articoli contenuti nelle pagine 4 e 5, ad esempio, sono stati riprodotti con questa intenzione); interpretazione tentare di capirne le cause e le conseguenze (come abbiamo cercato di fare in questo e in altri editoriali); per la proposta libertaria contiamo sul contributo dei lettori. Scriveteci: vi chiediamo soltanto di essere quanto più possibile chiari e di evitare d’essere troppo generici.

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