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Categoria: Cinema
Creato Domenica, 12 Dicembre 2021

La scuola cattolicaStefano Mordini e “La scuola cattolica”, recensione di Luca Baroncini (n°248)

Stefano Mordini, regista del discusso film “La scuola cattolica”, è stato ospite del Ravenna Nightmare Film Festival ed è stato protagonista di una tavola rotonda con la stampa. Il film, tratto dall’omonimo romanzo di Edoardo Albinati vincitore del Premio Strega nel 2016, racconta gli anni ’70 in un quartiere residenziale di Roma, dove sorge una nota scuola cattolica maschile in cui vengono educati i ragazzi della migliore borghesia. Alcuni di questi studenti saranno protagonisti nel 1975 del terribile massacro del Circeo, in cui due giovani ragazze, Donatella Colasanti e Rosaria Lopez, furono attirate con l’inganno in una villa e seviziate. Donatella si salvò, mentre Rosaria morì.

L’occasione è stata ghiotta per parlare del film e di tutto il fermento che ha suscitato, dal divieto ai minori di 18 anni stabilito dalla commissione per la censura, alle critiche per quel titolo così perentorio che suona come un atto d’accusa; ma andiamo per ordine seguendo le parole del regista, molto disponibile al confronto, a mettersi in discussione e con la voglia di fare chiarezza sulle tante polemiche suscitate.

Il punto di partenza

“Intanto non è un film sul massacro del Circeo ma parte dall’omonimo romanzo, però è ovvio che, siccome all’interno di quel racconto il massacro del Circeo è il fatto più drammatico, l’attenzione si è concentrata lì, ma il film, ci tengo a sottolinearlo, è tratto dall’omonimo libro di Edoardo Albinati e non è un film sul delitto del Circeo, altrimenti non lo avrei raccontato così. È conseguente al racconto di quel libro e di quel contesto, non può essere isolato. Il 1975 è un anno determinante, muore anche Pasolini, è il momento in cui l’Italia è in un imbuto e nei momenti di crisi, per quello che mi è capitato di constatare, viene fuori una certa violenza che di solito è quella maschile. Oggi la pandemia ha creato un periodo di instabilità, di insicurezza e il maschio tira fuori il peggio di sé, perché nell’insicurezza torna a punire la madre e quindi la femmina”.

Il divieto ai minori

“Le due ragazze diedero alla nazione una importante opportunità di riflessione, anche se con tempi molto lenti, basta pensare che lo stupro allora era ritenuto reato contro la morale e solo dopo molti anni, nel 1996, divenne un reato contro la persona. A distanza di ancora più anni le due ragazze incontrano una forma di censura, è come se ancora una volta fossero sempre loro a spingere la nazione a verificarsi su cosa sta producendo, perché la censura del film ha costruito una domanda: cosa possiamo vedere e cosa non possiamo vedere oggi? Sembra proprio che quelle due povere ragazze abbiano un ruolo, quello di far riflettere il nostro paese”.

La censura

“Siamo in un periodo in cui con il diffondersi dello streaming sembra che il cinema, inteso come film in sala, sia derivativo, che non interessi più, sta di fatto che questo film è stato censurato, attaccato, a Venezia perché non faceva vedere i fascisti, e da una commissione cattolica, è facile intuirlo, perché sembrava attribuire tutte le colpe a senso unico. Questo significa che il cinema fa paura, è ancora un mezzo che può orientare le masse, nell’assurdità di questa reazione la cosa mi ha fatto piacere. Nessuno si pone il problema di cosa puoi vedere su Netflix, ma in sala sì, questo vuol dire che il cinema è ancora un mezzo di comunicazione fra la nazione, rappresentata dalle istituzioni, e il proprio pubblico e la propria società. Quindi la censura nei confronti del film, che è assurda, e chiunque abbia visto il film lo può riconoscere, ha aperto una questione ed è proprio uno dei motivi per cui serve il cinema”.

La politica

“Sono cresciuto vivendo il cinema come una forma di necessità, un fare esperienza senza avere paura di incontrare l’errore, non è l’obiettivo a essere importante, ma capire qual è il meccanismo che ti può portare all’obiettivo. Ho applicato tale metodo anche a questo film e il rischio era altissimo, da una parte dare una lettura superficiale di un movimento politico, dall’altra non riuscire a cogliere l’essenza stessa del film che è di mostrare non la conseguenza di fatti specifici, il fatto specifico è che Letizia Lopez muore, ma di una serie di atteggiamenti che orientavano la società. Il problema in Italia è che spesso si cerca solo il colpevole e non il responsabile, ecco, io ho lavorato sui responsabili, perché i colpevoli erano chiari. Ho fatto quindi un film che è politico senza essere ideologico”.

Le riprese

“Ho fatto una forzatura tenendo per ultime le riprese nella villa del Circeo, non avevo paura, il cinema non si fa con la paura, però c’era un’idea precisa di lavorare sul linguaggio, quindi fare vedere una violenza senza mostrarla, infatti tutto ciò che avviene, avviene fuori campo, dandoti però l’idea di avere visto. Questo per rispettare le vittime, ma anche perché non volevo spettacolarizzare quel momento. Mi sono invece reso conto vedendo il film a Venezia che il lavoro sul tempo, che è stato parte di un processo di studio, è risultato probabilmente più sconnesso  delle intenzioni nel suo andare avanti e indietro. L’idea era quella che alla villa il tempo fosse lisergico, senza una chiara distinzione tra il giorno e la notte. Prima tutto scandito, poi tutto meno chiaro, perché il dolore ferma il tempo”.

Il rapporto con i familiari 

“Ho coinvolto le famiglie solo a film girato per un motivo molto chiaro. Io vengo dal documentario e la maggior parte delle volte in cui racconti una storia vera se incontri i protagonisti o i familiari di una tragedia, cominci a lavorare in funzione loro e non riesci ad assumerti fino in fondo le responsabilità di ciò che mostri, perché assumi le loro di responsabilità. Ho pensato che ero io che volevo proteggere queste ragazze. È stato un grosso rischio, ma sono genitore anche io e volevo andare fino in fondo, non era presunzione, ma attenzione, e infatti quando i familiari hanno visto il film hanno detto che prima erano arrabbiati con il film, ma dopo hanno ringraziato per averlo potuto vedere apprezzandolo per come è fatto e ha rispettato la memoria di chi ne è stato purtroppo protagonista”. 

L’ambiguità del titolo

“Abbiamo fatto un film da un libro che si intitola “La scuola cattolica”, quindi il titolo non poteva che essere quello, tra l’altro siamo stati più delicati del libro nei confronti della scuola cattolica, ma non è questo il punto, se tu ti poni problematico nei confronti del titolo significa che ti indirizzi verso la paura, oppure vuoi una ragione diversa da quella che il film ti racconta, quindi c’è un limite interpretativo e io sui limiti interpretativi non è che posso intervenire. Inoltre i ragazzi facevano la scuola cattolica, quella era. Che titolo dovevo mettere? “Delitto al Circeo”? “Quella scuola che non rappresenta tutte le scuole cattoliche”? Nel 1975 la scuola cattolica non permetteva alle ragazze di frequentare la scuola insieme ai ragazzi, quindi i maschi stavano con i maschi e a casa le donne, come mostra il film, non valevano niente. Dopo questo fatto di cronaca, nel 1978 si cominciarono a fare classi miste. Quella era la scuola cattolica che generava piccoli e grandi mostri. Il film porta due coppie di ragazzi al Circeo, una torna a casa portando rispetto alle donne, l’altra invece le donne le ammazza. 

I maschi di entrambe le coppie frequentano la stessa scuola cattolica che quindi che responsabilità ha? Quella di formare degli individui, per cui è loro la responsabilità. 

Ma in quel contesto lì, nel 1975, la scuola cattolica agiva così, guardava se stessa e non altro. E tuttora lo fa, perché davanti a questo film ho avuto critiche che la scuola cattolica non è quella. Certo, ma è anche quella e io è quella che ho raccontato!”. 

“Penso che quella società fosse convinta di alcune cose che poi nel corso degli anni ha capito che erano completamente sbagliate, però, a distanza di tanti anni quel rapporto uomo/ donna, maschio/femmina, si sta riproponendo nello stesso modo. Come diceva Pasolini, non è un fatto di contesto culturale, perché succede anche nelle borgate. Penso che il maschio, come anche l’universo femminile, siano certamente cresciuti in termini di consapevolezze acquisite, ma è nei momenti di crisi che va visto quanto una società è cresciuta e, secondo me, qui in Italia qualche passo in più dobbiamo proprio farlo”.

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