Stampa
Categoria: Cinema
Creato Lunedì, 07 Novembre 2022

locandina Margini“Margini” nasce dalla volontà di Niccolò Falsetti (regista e cosceneggiatore) e Francesco Turbanti (protagonista e cosceneggiatore) di raccontare una storia in cui si intrecciano amicizie e bisogno di realizzare le proprie ambizioni in un contesto poco complice come quello della provincia italiana (ma forse è lo stesso in tutte le province del mondo): un microcosmo fatto di regole tacite in cui o sei dentro, e ti omologhi, oppure sei fuori e diventi quello strano, disadattato, incapace di capire come gira il mondo. Oppure fuggi. Michele, Edoardo e Iacopo vivono nella Grosseto del 2008, sono amici da sempre e formano un gruppo street punk hardcore. Nei loro piani c’è quello di invitare la band americana Defense in città e di suonare come gruppo spalla, ma quando il progetto sembra andare in porto subentrano mille difficoltà e non tutto andrà secondo i piani. A parlarci del film, presentato in concorso alla “Settimana internazionale della critica” al Festival di Venezia 2022, dove ha vinto il premio del pubblico, sono proprio i due ideatori.

Il vostro film mescola abilmente commedia e dramma. Lo avete subito pensato così oppure il taglio si è definito strada facendo? 

Niccolò Falsetti: “Nasce come una commedia amara, qualcuno scomoda la commedia all’italiana, noi apparteniamo a un altro tempo e diciamo una dramedy, in grado quindi di combinare il dramma, che ti fa uscire con l’amaro in bocca, con la tenerezza, ma volevamo che l’esperienza fosse divertente, non siamo dei grandi fan dei film dove ci si annoia. Ci piace molto andare al cinema e uscire intrattenuti che non significa per forza vedere cose buffe, ma soprattutto vivere un’esperienza collettiva in grado di lasciarti qualche cosa”.

Francesco Turbanti: “È il genere che per raccontare questa storia ci apparteneva di più perché pensiamo che non esista nel mondo una cosa completamente drammatica o del tutto comica. Anche le cose più drammatiche ci piace vederle attraverso una luce ironica, il dramma più spietato ha comunque qualcosa di goffo, un funerale triste ha una maglietta sbagliata, un discorso del prete fatto male”.

Com’è lavorare in due? Riuscite a rispettarvi e a mantenere gli equilibri?

Niccolò Falsetti: “Per noi è semplice. È il privilegio di avere un’amicizia che ha creato un’intesa e una confidenza così intense in grado di spendersi anche sul piano professionale. Veniamo entrambi da esperienze collettive, io con l’audiovisivo e Francesco con il teatro, e abbiamo sempre riscontrato nel lavoro creativo la difficoltà di dire ciò che si pensa, la tendenza ad autoinibirsi per timore di ferire il prossimo ma anche per mancanza di curiosità. La difficoltà è nel saper divergere. I personalismi sono la morte di qualsiasi lavoro collettivo e succede quando l’egocentrismo e l’egomania superano l’importanza del lavoro. Noi, insieme ai nostri produttori, lavoriamo per ruoli e non per gerarchie, in modo orizzontale quindi, per far sì che i contributi di ciascuno possano migliorare il lavoro degli altri”. 

Cosa significa fare un film punk oggi? Se doveste spiegare a qualcuno cosa significa punk, cosa gli direste? 

Che significato ha oggi il punk?

Niccolò Falsetti: “È una domanda devastante. Siamo molto allergici ai pontefici, ai leader, ci inquieta pontificare su questa cosa. Punk è un’esperienza, uno stile di vita, una sottocultura, uno stile musicale così complesso e stratificato che dargli una definizione puerile sarebbe appiattirlo e semplificarlo. Quello che cerchiamo di raccontare nel film è una piccola parte di quello che è stato il punk per noi. Andate a un concerto, sotto a un palco, stretti stretti a prendere due spintoni e a cantare qualche canzone del gruppo che suona, a comprarvi il disco di quel gruppo, a capire perché comprare il disco di quel gruppo e la loro maglietta è importante per tenerlo in vita, perché andare a un concerto ed essere presenti in un centro sociale è importante, a fare scuola, come ci hanno detto alcuni dei centri sociali. C’è una sorta di non detto e verbalizzarlo rischia di renderlo banale”.

C’è un vissuto personale che traspare dal film, è il vostro?

Francesco Turbanti: “Abbiamo creato dei personaggi che vivono nell’ambiente punk di provincia, a Grosseto, una realtà che conosciamo perché ci siamo cresciuti. All’inizio volevamo fare un film sul punk italiano degli anni ’80, poi ci siamo resi conto che, prima di tutto, non era quello che ci interessava, e poi che non sapevamo nulla di come vivevano i ragazzi a Milano negli anni ’80 che volevano fare i punk anarchici e occupavano il Virus”.

Come ha risposto la scena punk?

Francesco Turbanti: “Incredibilmente bene, immaginavamo delle bastonate dal punto di vista della coerenza e invece quasi tutti ci stanno dicendo “questo film ci sta parlando” e per noi è molto bello perché è il primo target a cui ci riferivamo, ma la cosa ancora più sorprendente è che questo pubblico è aumentato e anche chi non ha   mai   ascoltato  musica punk o vissuto certe esperienze ha apprezzato il film”.

Lo definireste un film politico?

Francesco Turbanti: “Mi viene da definirlo politico nel senso più bello del termine, anche originario, perché parla a una comunità che vive determinate situazioni che hanno a che fare con lo stare insieme, con la socialità, con il mettersi in connessione con gli altri e decidere di fare qualcosa, è questo che fanno i nostri personaggi. Non credo che possa essere un film di protesta, noi ci limitiamo a raccontare una condizione, accendiamo la luce sui margini”.  

Niccolò Falsetti: “La politica dovrebbe avere il ruolo di promuovere un’idea di futuro. Il cinema fotografa, ritrae, racconta, e ha un superpotere in più, infatti è un’esperienza collettiva, è una cosa che si fa insieme e gioca con l’immaginazione, con il sistema cognitivo delle persone, è la lingua con cui si sogna non quella con cui si parla, penso che sia anche questo il suo superpotere politico, perché consente di fruire di un certo tipo di esperienze attraverso una storia, facendoci vivere cose che non faremmo mai. Siamo stati biograficamente molto vicini ai personaggi ma non faremmo mai alcune delle scelte che hanno fatto loro, però in quelle esperienze, in quelle scelte che io magari non farei, vedo la condizione dell’umano, perché scatenano delle domande e mi fanno venire voglia di suggerire delle risposte, delle proposte. Questa immaginazione è quella che probabilmente manca alla nostra generazione, non sappiamo immaginarci un futuro, la nostra immaginazione si è un po’ atrofizzata. Se qualcuno guardando il film si trova in questo stato propositivo, il potenziale politico del film è super esploso”. 

La provincia sta molto stretta ai personaggi.

Una speranza per chi vive in provincia la date? La soluzione può esser soltanto la fuga?

Francesco Turbanti: “Forse dalla provincia non se ne esce mai. Provo a rispondere con una immagine che è quella della palude. Grosseto storicamente era una palude. Nella palude se non fai niente affoghi, perché ti impaludi così tanto che finisci per andare a fondo, e allora ti devi muovere, devi battere i piedi il più possibile. La palude stagna, è tutto fermo, immobile, se non fai nulla vai a fondo senza neanche rendertene conto. L’augurio che posso fare di più a chi vive in provincia è quello del movimento, la spinta all’azione, agire, muoversi. Abbiamo tanti amici che sono rimasti in palude, molti sono impaludati, ma ci sono anche altri che combattono tutti i giorni, per loro abbiamo tanta stima, stanno lì e si muovono in continuazione, non capiamo neanche dove trovano l’energia, sono dei veri e propri agitatori culturali”.

Qual è il vostro rapporto con la sala cinematografica?

Francesco Turbanti: “Abbiamo fatto una settimana fa una presentazione a Roma e abbiamo incontrato un nostro amico, il film lo aveva già visto in anteprima, su uno schermo piccolo, dopo la proiezione in sala è venuto da noi e ci ha detto “Ma cosa avete cambiato? È migliorato troppo! È troppo più bello!”. In realtà il film era uguale, è cambiato che lo ha visto al cinema in una sala piena di sconosciuti che come lui stavano vivendo un’esperienza che non si può replicare. Il punto è quello!”.

Niccolò Falsetti: “Sono onnivoro, la mia attività principale nella vita, quella che mi piace di più, è guardare film e serie tv. Amiamo il cinema ma non abbiamo nessuna posizione reazionaria e conservativa, nulla quindi contro le nuove tecnologie e le piattaforme. La cosa che mi dispiace di più è la mancanza di possibilità di fare delle cose insieme. In un mondo iperconnesso siamo in realtà sempre più soli ed è una contraddizione abbastanza lancinante”.

Aggiungi commento


Codice di sicurezza
Aggiorna

Margini: il film e chi c’è dietro, intervista di Luca Baroncini (n°257) - Cenerentola Info
Joomla theme by hostgator coupons