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Categoria: Economia e finanza
Creato Sabato, 01 Febbraio 2014

Propaganda governativa di Toni Iero (n°165)

Indice della produzione industrialeDa sempre la propaganda rappresenta un’arma utilizzata nei conflitti. Oggi, nel nostro Paese, essa costituisce un importante strumento in grado di garantire la sopravvivenza di un ceto politico-amministrativo che, se esaminato alla cruda luce dei risultati conseguiti, dovrebbe essere rimosso pressoché in toto. 

 Ma il largo uso fatto della propaganda (e una certa credulità che contraddistingue gli italiani) è riuscito ad influenzare profondamente l’opinione pubblica. Così per oltre vent’anni il centro-sinistra si è creato un’immagine di implacabile combattente antiberlusconiano e, dall’altro lato, Berlusconi ha fatto credere di essere uno strenuo difensore del sistema occidentale contro il pericolo “comunista”. L’efficacia di tali messaggi è stata tale da aver indotto la maggioranza degli italiani a schierarsi con uno dei due partiti contro l’altro, senza rendersi conto di come le dirigenze dei due schieramenti, nonostante le aspre schermaglie verbali nei talk show televisivi, in realtà si sostenessero a vicenda.

Visti gli eccellenti risultati conseguiti dal potere nel somministrare illusioni ai propri cittadini, non stupisce l’impegno che anche il governo del Nipote profonde nell’inventarsi notizie e nel diffondere bugie. Pensiamo alla sbandierata abolizione dell’Imu sulla prima casa (una tassa cui è stato solo cambiato nome) o all’abrogazione del finanziamento pubblico dei partiti (che invece continuerà a gravare sulle spalle dei contribuenti). Oggi, con un ammirevole sprezzo della realtà, il Nipote ci viene a raccontare che ormai siano alla fine della crisi. Qualsiasi segnale, non importa quanto contraddittorio o parziale esso sia, viene immediatamente utilizzato per corroborare l’assunto che il duro lavoro di questo governo sta, finalmente, sortendo benefici effetti sull’economia nazionale.

Così, le previsioni di modesta crescita del Pil nel 2014 non solo sono già considerate realtà, ma testimonierebbero l’avvio di una ripresa economica in grado di sollevare la condizione di sofferenza degli italiani. Il risicato incremento della produzione industriale, registrato in novembre, confermerebbe il virtuoso percorso intrapreso dal sistema produttivo del nostro Paese. Addirittura, la riduzione dell’entità del debito pubblico in settembre, rispetto al dato di giugno, sarebbe il definitivo suggello degli sforzi intrapresi dal governo per il risanamento dei conti dello Stato. Insomma, se dovessimo prestare fede al governo potremmo abbandonare qualsiasi preoccupazione e limitarci ad attendere fiduciosi un radioso futuro apportatore di benessere e prosperità. È proprio così?

Andiamo con ordine. Cominciamo dalla crescita del Pil. Nell’ultimo Documento di Economia e Finanza (che risale al settembre scorso) il governo ipotizza una crescita reale del prodotto interno lordo italiano dell’1% nel 2014. Già cosi non sarebbe proprio un gran risultato. Ciononostante, la maggior parte degli organismi che si occupano di previsioni economiche giudica la stima del governo italiano troppo ottimista. Vi è un’ampia convergenza nel ritenere più probabile un aumento del Pil limitato allo 0,7%. Che la fiducia nella crescita italiana sia invero scarsa, lo prova il fatto che, nell’aggiornamento delle proprie previsioni effettuato il 21 gennaio scorso, il Fondo Monetario Internazionale abbia rivisto al ribasso la sua precedente stima, portando la valutazione della crescita del nostro Paese ad un misero 0,6%. Si badi bene che si tratta solo di previsioni, mentre la drammatica realtà parla di una contrazione del prodotto dell’1,8% nel 2013. Chi vive sperando…

Grande enfasi è stata poi attribuita alla variazione dell’indice della produzione industriale che, a novembre, è tornata a fare capolino in territorio positivo: +1,4% rispetto al dato di dodici mesi prima. Il grafico seguente riporta l’evoluzione del valore dell’indice della produzione (è stata usata media mobile a dodici mesi sul dato corretto per i giorni di calendario per eliminare le fluttuazioni stagionali).

Tale impietosa rappresentazione mostra, in realtà, come in novembre si sia avuto niente di più che una stabilizzazione dell’indice sui valori minimi degli ultimi dodici anni. Insomma, una stagnazione. L’euforia governativa per tale risultato appare, quantomeno, piuttosto intempestiva.

L’ultima incontenibile esplosione di gioia dell’altrimenti compassato Nipote ha avuto come oggetto la riduzione del debito pubblico registrata in settembre nei confronti del dato di giugno (si parla sempre del 2013). A giugno, il debito pubblico ammontava a 2.076 miliardi di euro. A settembre esso è sceso a 2.060 miliardi di euro: 16 miliardi in meno, per una riduzione dello 0,8%. Non c’è che dire, si tratta di un bel risultato. Sarebbe difficile dare torto agli amici del governo. Purtroppo, la Banca d’Italia ha pubblicato i dati sull’entità del debito pubblico anche dopo la data di settembre: l’ultima informazione disponibile, quella di novembre 2013, segnala come tale aggregato avesse raggiunto l’importo di 2.104 miliardi di euro! Non solo la riduzione di settembre è stata annullata, ma si è anche largamente superato il dato di giugno, raggiungendo un nuovo massimo storico. Qualcuno vuole informare il presidente del consiglio dei ministri sui nuovi dati della nostra banca centrale?

La modesta dimestichezza che gli italiani mostrano verso le entità numeriche (nei confronti internazionali sulle capacità matematiche occupiamo, regolarmente, l’ultimo o il penultimo posto) non autorizzerebbe i nostri rappresentanti a prenderci allegramente in giro. Eppure, è esattamente questo uno degli atteggiamenti che li accomuna, indipendentemente dal partito di appartenenza.