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Categoria: Economia e finanza
Creato Domenica, 01 Dicembre 2013

Le privatizzazioni ai tempi delle larghe intese di Toni Iero (n°163)

È qui la festa? Si devono essere chiesti i Dollariprincipali “money manager” (coloro che gestiscono la liquidità di fondi, banche, assicurazioni e grandi gruppi industriali) del mondo. Il riferimento è alla tornata di privatizzazioni che il governo italiano ha annunciato di voler attuare nei prossimi mesi.

Si comincia con l’Eni, di cui si intende cedere il 3% (ricavi previsti circa 2 miliardi di euro). Poi ci sarebbe l’Enav (società che fornisce il controllo del traffico aereo) di cui si vorrebbe vendere ai privati il 40%. Qui non è stata fatta alcuna stima degli incassi. Per Fincantieri, mettendo sul mercato il 40%, si ricaverebbero 600 milioni. A Cdp-Reti, della Cassa Depositi e Prestiti, sarebbero poi conferite Snam, Terna e il gasdotto Tag. La successiva alienazione del 50% di Cdp-Reti frutterebbe 3,7 miliardi. C’è poi la Sace, sempre di proprietà di Cdp, società che sostiene le esportazioni delle imprese italiane con apposite coperture assicurative: la cessione del 60% porterebbe introiti per 5 miliardi. Si venderebbe alla Cassa Depositi e Prestiti anche StMicroelectronics, impresa attiva nella produzione di elettronica di base per i più svariati settori. Da qui altri 700 milioni di euro. Infine, via anche la società Grandi Stazioni, oggi controllata dallo Stato attraverso le Ferrovie dello Stato: incassi stimati in 600 milioni. In totale, escludendo l’Enav per cui non esiste un’ipotesi di entrate, attraverso questo round di vendite si ricaverebbero 12,6 miliardi.

Il governo Letta sostiene che tali cessioni siano necessarie per abbattere il debito pubblico, giunto ormai alla soglia di 2.069 miliardi di euro (dato di Banca d’Italia a settembre). Eppure, per l’ennesima volta, l’affermazione dei nostri governanti appare ampiamente ambigua.

In realtà, in queste vendite un ruolo centrale spetterebbe alla Cassa Depositi e Prestiti. Questo è un organismo ibrido: è una società per azioni non inclusa nel settore pubblico, anche se lo Stato ne è azionista al 70% (il restante 30% è posseduto da un gruppo di Fondazioni di origine bancaria). In pratica, una parte delle operazioni preventivate appaiono solo come il passaggio di denaro tra la mano destra e quella sinistra della stessa entità. Vi sarebbero, invero, alcune cessioni effettive, soprattutto quelle che prevedono la vendita di imprese da parte della Cdp (quindi le operazioni riguardanti Cdp-Reti e Sace) per un importo di 8,7 miliardi. Tale cifra sarebbe raccolta da Cdp, ossia da un’impresa formalmente privata e potrebbe arrivare allo Stato solo sotto forma di dividendo. La cosa interessante è che questo tipo di entrata (il dividendo di una società partecipata) non vincola il governo ad utilizzare tale somma per la riduzione del debito, come sarebbe invece nel caso di un provento derivante direttamente da una alienazione. Sorge il non infondato sospetto che gli amici stiano pensando di utilizzare dei redditi sostanzialmente, ma non formalmente, straordinari per gestire le spese correnti. Un po’ come se una famiglia vendesse l’argenteria per andarsene allegramente in vacanza…

Quindi, tolti gli 8,7 miliardi che arriverebbero alla Cassa Depositi e Prestiti, l’erario introiterebbe direttamente dalle rimanenti privatizzazioni circa 5 miliardi. Ma davvero il capo del governo e i suoi degni ministri vogliono raccontarci che intendono abbattere un debito di 2.069 miliardi con i 5 che prenderebbero dalla vendita di queste imprese? Vi sembra sensato?

I dubbi aumentano leggendo quanto compare sulla stampa economica. In un articolo apparso su Il Sole 24 Ore del 23 novembre scorso, il giornalista, Andrea Franceschi, riporta il commento di Domenico Rizzuto, gestore di Dr Finance Consulting, che, a proposito della vendita delle quote di Eni afferma «… sarebbe certamente un affare per il mercato. Meno per lo Stato che si priverebbe di una quota, seppur minima, di un’azienda sana che garantisce in dividendi un invidiabile rendimento del 6 per cento. Incasso pulito dato che ovviamente lo Stato non ci paga le tasse». Subito dopo si legge «Lo stesso discorso vale per Snam e Terna… Entrambe le società hanno fatto buoni risultati in questi anni e hanno un “dividend yield” (= rendimento unitario per azione) superiore al 5 per cento». Infine, a proposito di StMicroelectronics, l’articolo citato conclude «… l’esito probabile è quello di un affare per chi compra. Meno per chi vende».

Insomma, il giudizio degli analisti finanziari appare piuttosto netto: non ha senso vendere imprese sane, operanti in settori strategici che, inoltre, garantiscono un eccellente flusso di reddito dall’attività ordinaria. Questa vicenda mi ricorda la brillante privatizzazione delle Farmacie Comunali del Comune di Bologna (gli ex-comunisti, ora post-comunisti, sembrano avere una spiccata predilezione per vendere ai privati le imprese di proprietà pubblica, vedi anche gli autobus di Genova): in cambio di una somma una tantum, peraltro rapidamente scomparsa dai bilanci comunali, l’ente locale ha perso per sempre i proventi che regolarmente venivano generati dall’attività di questa impresa. Tornando alle privatizzazioni di Letta, occorre considerare, inoltre, come le aziende privatizzande siano ormai tra le poche grandi imprese industriali rimaste in questo disgraziato Paese. L’Eni, in particolare, ha una valenza cruciale non solo perché gestisce l’approvvigionamento di energia per l’Italia: in virtù della sua dimensione e del suo azionariato, l’Ente Nazionale Idrocarburi spesso agisce come il vero rappresentante diplomatico del nostro Paese in molte delicate aree del mondo. Privatizziamo anche la politica estera?

Da queste considerazioni emerge un dubbio che scolora rapidamente in certezza: Letta il Nipote sta disponendo delle proprietà pubbliche ad esclusivo vantaggio di coloro i quali hanno il denaro per comprarsele. Con la scusa del debito, il governo delle larghe (strette?) intese, con la complicità dei partiti che lo sostengono, si accinge a svendere l’ultimo pezzo di Italia produttiva agli amici, anche a quelli d’oltre confine.