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Categoria: Letture
Creato Martedì, 01 Marzo 2016

Rito religiosoL'acqua santa e il foco benedetto, di Rino Ermini (n°188)

Sempre parlando di cose religiose di quand’ero ragazzo, qualche giorno prima di Pasqua, se mi ricordo bene il lunedì e il martedì della settimana santa, il prete, accompagnato da due chierichetti (che da noi a dir la verità si chiamavano “sagrestani”), faceva il giro della parrocchia per la benedizione delle case. Era l’occasione anche per le grandi pulizie di primavera: gli uomini nelle stalle, nelle cantine, nei fienili e sotto le logge, le donne in cucina e nelle camere si davano un gran da fare per nettare a fondo almeno una volta all’anno, e scrollarsi di dosso il peso dell’inverno.

Il prete arrivava, benediceva, faceva due chiacchiere e poi c’era il rinfresco: di solito vin santo e dolce, l’uno vanto del capoccia di casa e l’altro della massaia. Il prete di case doveva passarne una quarantina nella prima giornata e altrettante nella seconda, perciò si conteneva e proprio per non offendere nessuno si limitava a un assaggino in ogni famiglia. Certo, quaranta mezzi bicchierini di vinsanto e quaranta fettine di dolce erano pur sempre una bella mazzata ma, tirate le somme, arrivava abbastanza sobrio alla fine del giro. I due chierichetti no, non si contenevano, e ci davano dentro nonostante i deboli richiami del prete; perciò alla fine del giro ci arrivavano stracotti. Era questa la ragione per cui il secondo giorno ne entravano in scena altri due, perché quelli del giorno prima erano fuori combattimento.

Il sabato di Pasqua poi c’era da portare il “foco benedetto”. Due chierichetti, e precisiamo che si trattava di gente in età fra terza elementare e prima media, armati di cestino per le uova e di cecia (scaldino) con le braci, di prima mattina andavano dal prete a farsi benedire il fuoco e poi via a passare le ottanta case per accendervi con dette braci una candela che la massaia in precedenza s’era premurata di comprare. Le massaie davano qualche spicciolo o un paio di uova. Meglio gli spiccioli che potevano essere spesi direttamente al circolo in partite al biliardino, mentre le uova bisognava venderle a qualcuno; e non era facile perché chi a quel tempo, in una frazione campagnola, non aveva le galline? In genere le uova le comprava la mamma del prete, ma tirava il collo sul prezzo; primo perché, diceva, “tanto lo so che non ve le compra nessuno”, e poi perché “tanto lo so che i soldi li buttate via al circolo”.

I chierichetti per questo “servizio” li sceglieva il prete fra quelli più meritevoli. Ad esempio toccava quasi sempre a gente tipo Marco Madiai, figlio del contadino che stava nel podere di proprietà della chiesa, e a Sauro Cancialli, figlio del capo della Demograzia (Democrazia cristiana). A mio fratello, invece, tanto per fare un nome a caso, non toccava mai. E mio fratello una volta ci pensò da sé mettendosi d’accordo con Sandro Treggiani, figlio del fattore, altra bella testa che fra l’altro nessuno aveva mai visto a servire né messa né vespro. Il giorno prima, cioè il venerdì santo, i due energumeni presero una scatola di fiammiferi da cucina, andarono dal prete di Monteciutoli, un buon prete con una parrocchia di quattro gatti sperduta fra forre impervie, e gli chiesero di benedirglieli promettendogli che in cambio gli avrebbero portato una serqua d’ova (cosa che mio fratello poi fece veramente rubandole dal pollaio di nostra madre). Così il giorno dopo, mentre Marco Madiai e il collega prescelto sicuri del fatto loro erano dal prete a farsi benedire i carboni nella cecia, mio fratello e Sandro s’erano già portati un pezzo avanti nel lavoro e già fatto buona raccolta di spiccioli e di uova. Qualche massaia era rimasta perplessa di fronte all’assenza della cecia coi carboni ma, avendo ben altro da fare, aveva messo tutto in conto ai tempi moderni e aveva proseguito nelle proprie faccende.

Quando i due “regolarmente autorizzati” giungono con flemma alla prima casa e gridano come si conveniva “massaia, c’è il foco benedetto!”, vedono la stessa che s’affaccia e rispondere con loquela poco pasquale “ragazzi, cercate di non prendermi per il culo, perché stamani per l’appunto mi girano anche!”. “Porca Maremma, osserva Marco Madiai, questa parla come la mi’ mamma”. “La mia, aggiunge l’altro, parla parecchio peggio”. E insistono col “foco benedetto”. E la massaia a rispondere che l’ha già avuto. Quelli a dire non è possibile. E quella a ribattere allora io sarò scema. Alla fine saltano fuori nomi e cognomi e si chiarisce tutto. Col fumo alle narici i due proseguono verso la seconda casa del giro, non senza aver lasciato sull’uscio della prima la certezza che il fuoco di quegli altri non era “foco ma fiammiferi” e di sicuro non erano benedetti. Alla seconda casa stessa scena, ma il cervello nel frattempo ha lavorato. “Noi si fa il giro completo e gli si dice a tutti che il fuoco di quei due bastardi non era benedetto, così prendono anche il nostro”. Detto e fatto. Proseguono il giro fino all’ultima abitazione della parrocchia, spiegando che chi li ha preceduti non aveva fatto benedire i fiammiferi. Il prete può confermare. E poi, via, che foco benedetto sarebbe se ve lo portano con i fiammiferi?

Alla fine del giro, siamo oltre il mezzogiorno, vanno al circolo a spendere il guadagno e vi trovano mio fratello e Sandro Treggiani che stanno già consumando il loro al biliardino. Partono subito le provocazioni: “Come v’è andata ragazzi? Vi hanno dato qualche cosa o v’hanno dato solo di bischeri?” Volano le offese e si pigliano a muso duro, e Marco Madiai a dire “ora sono affari vostri che gli avete portato il foco non benedetto”. “E invece no, lo abbiamo fatto benedire dal prete di Monteciutoli”. “Sì, ma erano fiammiferi e non foco vero”. “E allora?” Alla fine, siccome al biliardino di solito si gioca in quattro, si mettono d’accordo. Constatato che in fondo le beffate son le massaie, la questione si chiude a pacche sulle spalle e si rinsalda l’amicizia. Improvvisamente vengono loro in mente le uova, e prima che il putiferio che si starà sollevando arrivi all’uscio della canonica, le mettono tutte in un cestino e Marco Madiai va di corsa a vedere se riesce a rifilarle alla mamma del prete.

Fra un podere e l’altro la voce cammina piano, ma nella frazione si spande in un baleno, e i commenti non possono essere che di questo tono: “Altro che chierichetti, guarda te come li avvezza il prete!” “I primi che son passati son due delinquenti e i secondi son due coglioni”. “E le più coglione di tutti siamo noi che abbiamo pagato due volte”. “Sono così imbestialita che se mi capitano fra le mani li strozzo tutti e quattro, a costo di rimangiarmi la comunione di pasqua prima di farla”. “Io strozzerei le su’ mamme”. “Povere donne! O che colpa hanno? I nostri avrebbero fatto lo stesso e forse peggio”. E così via. I più, ora parlo degli uomini, che non c’entrano nulla ma gongolano per il fatto che le mogli sian state beffate, se la ridono come matti. Quelli che non credono o che in chiesa ci vanno poco o niente se la spassano più di tutti. Nei giorni seguenti il vocio verte soprattutto sul fatto se i fiammiferi siano stati benedetti o no, e c’è pure chi si prende la briga di andare a verificare a Monteciutoli. E qualche massaia fra le più arcigne vorrebbe andare a casa dei quattro farabutti a richiedere le uova e gli spiccioli estorti con la frode: “non per il valore, ma perché a me nessuno mi deve prendere per il culo”. Insomma per almeno una settimana ci fu da discutere e non pochi si divertirono ad alimentare la polemica per farla durare più a lungo. I quattro protagonisti, che ebbero il loro momento di gloria e nel bene e nel male per alcuni giorni furono sulle bocche di tutti, si trovarono pagata al circolo, da ignoti, una “pasta” a testa per dieci domeniche di seguito. Non era poco per quei tempi. Si trattava di sicuro di più di una persona che li aveva approvati e s’era divertita e dimostrava loro a questo modo appoggio e riconoscenza. Una pasta in Toscana era, ed è, un pasticcino, ma è più grosso e più buono cinque volte di quelli che vi danno a Milano per un prezzo doppio.