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Categoria: Lavoro e sindacato
Creato Lunedì, 03 Novembre 2003

Ditte esterne negli enti pubblici, da www.cub.it. (n°24)

I dipendenti di una cooperativa che svolge in appalto servizi assistenziali presso un ente pubblico hanno diritto allo stesso trattamento economico spettante agli impiegati dell’appaltante..

In base all’art. 3 della legge 23 ottobre 1960 n. 1369 (Cassazione Sezione Lavoro n. 3172 del 5 marzo 2002, Pres. Spanò, Rel. De Renzis).

L’ente pubblico Istituti Riuniti di Ricovero della Città di Pisa ha affidato in appalto alla Cooperativa Pisana per la Solidarietà Sociale i servizi socio-assistenziali per gli assistiti. I dipendenti della cooperativa che hanno lavorato presso gli Istituti Riuniti per dare questi servizi hanno chiesto al Pretore di Pisa di affermare il loro diritto a percepire lo stesso trattamento economico spettante ai dipendenti dell’ente pubblico e di condannare que-st’ultimo a pagare loro le relative differenze. Essi hanno invocato l’art. 3 della legge 23 ottobre 1960 n. 1369 secondo cui "gli imprenditori che appaltano opere o servizi, compresi i lavori di facchinaggio, di pulizia e di manutenzione ordinaria degli impianti, da eseguirsi nell’ interno delle aziende con organizzazione e gestione propria dell’appaltatore sono tenuti in solido con quest’ ultimo a corrispondere ai lavoratori da esso dipendenti un trattamento minimo inderogabile retributivo e ad assicurare un trattamento normativo non inferiore a quelli spettanti ai lavoratori da loro dipendenti".

L’ente, cui è succeduto il Comune di Pisa, si è difeso sostenendo che la norma invocata è applicabile soltanto agli imprenditori e non agli enti pubblici. Sia il Pretore che, in grado di appello, il Tribunale di Pisa hanno ritenuto fondata la domanda proposta dai lavoratori ed hanno loro riconosciuto il diritto alle differenze di retribuzione rivendicate. Il Tribunale ha osservato in particolare che la gestione degli Istituti Riuniti era improntata a criteri di economicità e che pertanto, ai fini dell’ applicazione della legge, l’ente poteva essere parificato ad un imprenditore. Il Comune di Pisa ha proposto ricorso per cassazione sostenendo l’ inapplicabilità dell’art. 3 della legge n. 1369 del 1960.

La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 3172 del 5 marzo 2002, Pres. Spanò, Rel. De Renzis) ha rigettato il ricorso, richiamando la sua giurisprudenza secondo cui il principio di solidarietà affermato dall'art. 3 della legge n. 1369 del 1960 è applicabile anche in relazione alle attività svolte dagli enti pubblici, purché aventi carattere imprenditoriale.

Questa interpretazione, ha affermato la Corte, è in armonia con lo spirito informatore della legge, volta a reprimere il fenomeno dello sfruttamento della manodopera, sicché l’art. 3 trova applicazione anche per gli appalti di servizi da parte di enti pubblici organizzati con criteri di imprenditorialità.

La Cassazione ha anche ricordato la sua giurisprudenza secondo cui, perché si configuri un’impresa, l’attività esercitata non deve necessariamente avere la finalità di produrre entrate superiori ai costi di produzione, essendo sufficiente, ai fini dell’economicità dell’ attività, l’idoneità almeno tendenziale a ricavare dalla cessione dei beni o servizi prodotti quanto occorra per compensare i fattori produttivi impiegati, ossia a perseguire tendenzialmente il pareggio di bilancio, non importa se raggiungibile grazie all’apporto di sovvenzioni pubbliche; il pareggio di bilancio non deve essere necessariamente raggiunto con il prezzo del servizio, pagato dagli utenti, potendo le aziende pubbliche fare affidamento sulle sovvenzioni come costanti ricavi di esercizio.