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Categoria: Interviste
Creato Mercoledì, 01 Giugno 2011

Intervista a Luca Alessandrini: Risorgimento e Unità d'Italia, tra retorica e populismo, di Annalisa Righi (n°136)

Cenerentola ha incontrato a Bologna Luca Alessandrini, direttore dell’Istituto Storico Parri Emilia-Romagna, per riflettere - in occasione dell’anniversario dell’Unità d’Italia - su eventuali notizie inventate, snaturamenti di fatti documentati e ricadute che queste manipolazioni della storia possono avere sull’opinione pubblica. Dalle sue parole si evince che, oggi come ieri, il discorso sul Risorgimento è carico di malintesi, pregiudizi, silenzi. Scopriamo che i valori del Risorgimento - che hanno permesso nell’Ottocento il vero cambiamento epocale dello stato, della nazione, della democrazia, dei cittadini - si sono un po’ persi per strada. Da una parte uno spirito conservatore e oscurantista, dall’altra una troppo facile e sterile retorica progressista populista, oltre che una scarsa conoscenza dei fatti e delle fonti in sé.

In occasione delle celebrazioni del centocinquantesimo dell’Unità d’Italia, quindi anche del Risorgimento, ci sono state manipolazioni, strumentalizzazioni, falsificazioni di fatti storici ed eventualmente, qual’è il peso che queste strumentalizzazioni possono avere sull’opinione pubblica?

Generalmente i racconti falsi, o mitizzati, fanno parte, come complemento necessario, di un sentire diffuso; non sono le notizie false che creano il sentire diffuso ma è quest’ultimo che si esprime anche attraverso notizie false. Per esempio, nel secondo dopoguerra si parlava molto del fatto che i partigiani comunisti non avessero consegnato le armi alle autorità, secondo alcuni nell’idea di un disegno rivoluzionario, secondo altri in un’idea difensivistica; certamente dal punto di vista storico è vera la seconda e non la prima. Ecco, attorno al dato reale, che le armi sono state - in certa misura - trattenute, si sono aggiunte alcune grandi mistificazioni e alcune piccole leggende. Grande mistificazione: le hanno trattenute solo i comunisti (non è vero, Gladio ci ha dimostrato che non era così); tra le leggende invece: in tutte le regioni in cui vi era una forte presenza di partigiani comunisti sarebbe stato nascosto un carro armato perfettamente efficiente, ce n’è uno in Romagna, uno in Piemonte... Questi sono racconti che si innervano su una sensibilità diffusa ed anche su un fatto vero, reale: le armi non sono state restituite.

Sul Risorgimento il tempo è troppo lontano e la narrazione è troppo scolastica perché ci siano fatterelli inventati di sana pianta o snaturati. Però c’è stata una grande e fiera battaglia sul significato del Risorgimento e per quello che Habermas chiamava “uso pubblico della storia”. In Italia si è parlato molto di revisionismo storico, soprattutto negli ultimi vent’anni. Revisionismo che si è concentrato proprio sul Risorgimento - non sul giudizio del fascismo, sul giudizio della Resistenza - e in termini plateali.

Quindi, revisionismo e “uso pubblico della storia” che si sono giocati soprattutto sul Risorgimento, con che mezzi?

Il primo è poco appariscente, ma gravissimo perché crea senso comune, ed è il proliferare enorme di pubblicazioni: piccoli libri, riviste, trasmissioni televisive... che snaturano il senso storico del Risorgimento partendo da una base documentaria molto debole e da forti pregiudizi consolidati negli anni. Pregiudizi che partono dall’epoca in cui si compivano le vicende risorgimentali e arrivano fino ad oggi; per cui c’è uno spirito antirisorgimentale del 1848, ce n’è uno del 1948, c’è n’è uno di oggi.

Il secondo è la battaglia politica esplicita. La Lega non è contro il Risorgimento solo perché ha uno spirito separatista, perché ritiene un disvalore l’Unità d’Italia. Questo è un aspetto laterale, quello principale è che il fastidio della Lega Nord per il Risorgimento si alimenta di tutta una serie di ideologie e dottrine reazionarie, neoreazionarie e clericali, questo è il punto. Bossi ha dichiarato apertamente di essere contro il Concilio Vaticano II. Il messaggio è chiarissimo: rivalutare Pio IX, il papa peggiore della storia della modernità, antimoderno, antiliberale, assolutista, antidemocratico, reazionario, carnefice di ogni opposizione.

Questo è il clima: un attacco strisciante ma diffuso attraverso una pubblicistica innumerevole, inconsistente dal punto di vista scientifico e strumentalmente volta a rimettere in discussione tutto. Non un rimettere in discussione sulla base di una nuova riflessione, di nuove ipotesi interpretative, di nuovi documenti, ma sulla base di una revanche politica. Il che sposta il discorso sul presente.

Qual’è la battaglia politica che si sta consumando adesso sul passato?

Noi stiamo assistendo ad un ridisegnarsi completo del mondo su tre piani. Uno è quello planetario, della così detta globalizzazione. Il secondo riguarda la crisi della democrazia occidentale così com’era stata concepita dalla rivoluzione francese in poi. Il terzo passaggio, invece, è tutto italiano: in Italia la decadenza della democrazia si è consumata con più forza perché c’è stata la fine di una stagione dell’Italia repubblicana; la crisi dei partiti, tangentopoli, il crollo del muro di Berlino e la fine dei grandi partiti di massa. Si è entrati in una transizione verso una democrazia populista, molto poco democratica e piuttosto autoritaria. In questo contesto si gioca la partita del significato del Risorgimento, più ancora che quella del significato della Resistenza, molto di più.

Qual’è il senso vero e profondo del Risorgimento?

Il Risorgimento ha significato laicizzazione della società, responsabilità, eguaglianza dei cittadini, fine dei privilegi del mondo feudale e di quello aristocratico delle grandi monarchie e dei regimi assoluti europei. Ha significato organizzazione dal basso... tutto avviene lì. Ne sono consapevoli i grandi imperi, che col Congresso di Vienna tendono a reprimere tutto questo. Ne è consapevole la Chiesa: Pio IX è il grande nemico di tutto questo. E’ stata l’unica epoca storica in cui si è arrivati ad un vero confronto con la Chiesa, un momento in cui si è fatto cessare il suo potere temporale. Un fatto enorme. Oggi lo si mette in discussione perché si vuole arrivare ad un regime di governo di tipo populistico e bisogna elidere il nesso libertà - uguaglianza - responsabilità - laicità, che è proprio del Risorgimento; quindi si inventa di tutto.

Il senso dell’unità della nazione, o è attaccato, o è promosso attraverso una visione romantica, ma qual’è l’osservazione storica?

La nazione del Risorgimento, questa è una cosa fondamentale, non è un’idea di italianità arcaica, nota, basata su miti fondativi folli. L’idea di nazione è semplicemente un tratto comune. Nel caso dell’Italia uno solo: la lingua. Un tratto comune che consente di disegnare un perimetro. Un perimetro astratto del patto tra cittadini in quanto liberi ed eguali e tra cittadini e istituzioni di cui si dotano. E’ la fondazione della democrazia inventata dalla rivoluzione francese: la nazione serve per fare la democrazia. La nazione per il Risorgimento è la democrazia, tutto il resto è strame. Le grandi dinastie si mescolavano tra loro, si spartivano il bottino, i territori, i feudi, non serviva la nazione per quello. Poi si creano dei grandi agglomerati nazionali come la Francia, l’Inghilterra, ma non serviva principalmente la nazione. La nazione è lo strumento attraverso il quale si può inverare l’utopia rivoluzionaria di una società di liberi ed eguali. Ed è questo quello che spaventa oggi, e per questa ragione il Risorgimento è il nemico. Il Risorgimento è la rivoluzione più grande, più bella, più affascinante che si possa immaginare. Dopo di ché dentro c’era di tutto, anche Gioberti. il quale, nonostante fosse ultra cattolico, non pensa a una società centrata sulla religione cattolica. La prima cosa che fa il Risorgimento è liberare i ghetti degli ebrei. Anche il più ortodosso cattolico risorgimentale pensa a una società italiana che abbia spazio per tutte le religioni. Questo è straordinario. Allora su questo si può innervare un romanticismo vero, e tra l’altro sono gli anni del romanticismo in letteratura e nell’arte. L’idea di partecipazione soggettiva e corale al tempo stesso. Il Risorgimento è romantico in quanto l’individuo compie una grande scelta, è invece moderno e rivoluzionario perché la somma delle scelte individuali costituisce una coralità nuova, costituisce un popolo consapevole di sé in quanto soggetto rivoluzionario, non in quanto astrazione. Noi oggi viviamo l’esatto opposto, ci vogliono dire che i popoli sono dati per tradizioni immemorabili. Ma guai se noi ci rifacessimo ai miti delle origini, servono solo per giustificare ideologie totalitarie e politiche di potenza. Infatti Bossi deve costruirsi un mito delle origini per creare una politica di potenza di un gruppo, che lui definisce padani.

In generale, le celebrazioni non toccano gli aspetti che lei ha appena evidenziato. Mi pare restino su un piano diverso, e forse più romanzato, perché?

Nel parlare del Risorgimento c’è grande pudore e grande imbarazzo. Però qualcuno ne doveva parlare, io ne ho parlato.

Nel comunicare certi aspetti si ha paura, qualcuno pensa siano difficili da capire, niente di più falso. Altri pensano sia mettere i piedi nel piatto della battaglia politica attuale, anche questo è falso perché siamo nella storia pura. Altri ancora non colgono il senso profondo di queste cose perché la tendenza populistica - autoritaria ha inquinato anche i migliori. Si trovano persone profondamente democratiche, profondamente di sinistra, che usano le categorie della destra semplicemente cambiandole di segno.

I fondamentali del Risorgimento potrebbero essere il riferimento naturale sul quale ricostruire un senso democratico?

Secondo me potrebbe essere fatto a partire dal Risorgimento, ecco potremmo ragionare su questo. Andando davvero ai fondamentali. Ma i fondamentali stavano in piedi nel Risorgimento perché quel progetto non si basava sulla pietà, si basava sulla funzionalità. Una società di liberi ed eguali è più ricca, più potente, più libera di una società di schiavi e di sudditi. Oggi noi dobbiamo ridimostrare completamente che una società libera ed emancipata ha più possibilità di una società in cui c’è un’ élite autoritaria che raccoglie in sé moltissimi privilegi e che dobbiamo ammirare e seguire.

Dovendo ricominciare, se ce ne fosse bisogno, il Risorgimento è un bel modello, nel senso che ce n’è per tutti. Offre una sponda a tutte le gamme di pensiero democratico, anche ai moderati con i quali pare inevitabile allearsi ...

In secondo luogo affonda il coltello in alcune piaghe: la questione della laicità, le minoranze, la riforma religiosa. Nel Risorgimento c’è tutto questo. Vedo più deboli altri modelli, questa attenzione enorme, un po’ di maniera, un po’ rituale, potrebbe essere un’occasione di approfondimento.