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Categoria: Dibattiti e opinioni
Creato Domenica, 06 Febbraio 2022

rotatoriaElogio della rotonda, di Franco Melandri (n°250)

Da qualche anno a questa parte, tutti se ne saranno accorti, le nostre strade si stanno riempiendo di rotonde, poste laddove possibile e soprattutto dove erano presenti incroci regolati da semafori. 

Contemporaneamente, anche questo è particolarmente evidente, ci si sarà pure resi conto che i comportamenti delle persone nell’affrontare dette rotonde sono sostanzialmente riducibili a tre tipologie. La prima è quella di chi le affronta immettendovisi come “se niente fudesse” e un po’ da bulli, cioè senza in nulla diminuire

la velocità, senza preoccuparsi di chi già percorre la rotonda e nemmeno di segnalare a questi ultimi il proprio tragitto. La seconda, invece, è quella di coloro che si fermano prima di entrare nella rotonda e poi, una volta entrativi, spesso si spostano dall’una all’altra delle corsie senza far ben capire se debbano percorrerla in parte o per intero, salvo poi, frequentemente, uscire senza segnalare detto spostamento. La terza categoria, infine, è rappresentata da quelli che rallentano prima di entrare e, controllando che nessuno venga da sinistra, si fermano solo se la corsia esterna della rotonda è occupata mentre, una volta immessisi, occupano la corsia esterna solo se devono prendere la prima o la seconda uscita disponibile, mentre, dovendo percorrere quasi tutta la rotonda, si portano nella corsia più interna, dalla quale, segnalando ovviamente il tutto, si spostano in quella esterna solo in prossimità alla uscita che devono prendere. 

Come si sarà già intuito - e ciò sia che si appartenga a quelli che devono entrare o uscire dalle rotonde, sia che si faccia parte di quelli che le stanno percorrendo - l’unica categoria che usa bene le rotonde è la terza, la quale, e proprio col suo comportamento, mostra pure di aver ben capito (magari solo intuitivamente) natura e funzione delle rotonde medesime. 

Queste ultime, infatti, altro non sono che strade ricurve, a due corsie, a senso unico, con immissioni su un solo lato, la cui funzione è di distribuire nelle vie che vi convergono il traffico che, negli incroci regolati da un semaforo, occupava e percorreva invece il centro degli incroci stessi al fine di raggiungere le suddette strade.  

Dalla fenomenologia schematicamente sopra abbozzata, deriva che, attraverso una semplice struttura tecnica, le rotonde operano non soltanto un cambiamento pratico (il traffico, in genere, in effetti scorre meglio), ma pure che proprio attraverso questo rendono evidente e attuano un mutamento simbolico e, quindi, teoretico.

Il mutamento simbolico, è facile intuirlo, consiste nel fatto che quel centro che prima veniva percorso - o vietato - solo dopo il comando meccanico e automatico del semaforo (che, non a caso, letteralmente significa “portatore di segni”) o quello vivente del vigile è ora distribuito in un percorso il quale, in quanto tale, implica un movimento continuo.

Questo, a sua volta, significa che quel movimento che prima era permesso o vietato da un comando, così come lo spazio che quel movimento o stasi occupavano, cioè il centro e l’area del crocicchio, ora sono l’uno dato come a-priori - nella rotonda, infatti, non si può sostare e l’ingresso in essa non è regolato da uno ‘Stop’ - e l’altro diffuso in uno spazio che è tale solo in quanto percorribile. 

Correlativo a questo cambiamento simbolico è il cambiamento teoretico, il quale muove da un fatto innegabile: la natura del traffico è di essere caotica, perché niente e nessuno può prevedere se e quando un dato mezzo passerà in un dato incrocio. Certo sono probabilisticamente individuabili luoghi e orari di maggior ingorgo di veicoli, ma la questione di fondo non cambia, perché, poco o molto che sia il traffico, rimane indeterminabile quando un dato vettore passerà da un dato posto. A fronte di detta questione, la soluzione che si era data col semaforo era molto semplice: si negava di fatto questa natura caotica cercando di determinarne, dall’esterno, almeno il tempo di percorrenza, la qual cosa, di per sé, portava ad un minimo di quantificazione a-priori della materia del traffico, cioè all’accumulo dei mezzi di locomozione (che infatti venivano fatti stazionare in attesa del verde). 

Del tutto diverso quello che accade con le rotonde, la cui logica, muovendo precisamente dal riconoscimento dell’incoercibile natura caotica del traffico, non solo non nega tale natura (il traffico, infatti, “traffica”,  cioè  è tale solo perché si muove, è movimento), come invece accadeva coi semafori, ma, all’opposto, la “ulteriorizza” precisamente agendo nel, e sul, movimento stesso. Il tutto, per dirla in termini più teorico-filosofici, significa che si riconosce che il traffico è una dynamis, una “potenza” - cioè quanto esiste solo in quanto “fa qualcosa” -, e proprio per questo implica due possibili “risposte”. L’una fa perno su una potenza maggiore - il semaforo, il vigile - che provi a dominarla in un qualche modo, cioè, essenzialmente, con una potenza di ordine superiore che, in ogni caso e in quanto tale, non può che fare perno sul tentativo di negare, in quanto quella specifica cosa, ciò su cui si esercita (per dominare una qualsiasi cosa, infatti, è necessario che quella stessa cosa sia negata nella sua specifica “cosità”, cioè ridotta alla “cosa per me”, come già sottolineava Hegel). L’altra è invece quanto i Greci avrebbero definito un kata dynamin, cioè un “capace di fare in relazione a”, cioè quel fare che è la potenza medesima (ognuno di noi, quando va in un qualsiasi veicolo, è infatti “traffico”) che, però e soprattutto, si riconosce come tale ed in tal modo viene agita nello stesso modo e momento per cui è agente, cioè è un movimento che, sapendosi come tale, cerca di comportarsi nel modo più adeguato a se stesso.

Se quanto fin qui detto è vero - cioè ha senso perché è in grado di illuminare meglio un dato fatto - molti sono i ragionamenti che si potrebbero ulteriormente fare, magari partendo dal modo di pensare, quasi ovvio, che vede il traffico come una metafora della vita sociale e politica (non sono pochi, in effetti, quelli che, parlando della società, della politica, dello Stato, del governo e così via, si sono sentiti dire che questi sono come il traffico e che quest’ultimo non funziona se non c’è un qualche semaforo o vigile). E se l’incrocio fra società, politica, potere politico è una modalità e uno spazio di un qualche traffico, si potrebbe inferire che esso sia percorribile attraverso delle rotonde invece di volerlo delimitare e signoreggiare con vigili e semafori.

Ma questa, forse, è un’altra storia…  

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