Quale sarà la reazione italiana? di Toni Iero
(n°175)
Con l’introduzione della moneta unica europea, la politica monetaria è stata definitivamente messa al sicuro dal “pericolo” democratico
Il primo passo era stato compiuto con il cosiddetto divorzio tra Banca d’Italia e Ministero del Tesoro nel 1981. La scelta di separare la politica monetaria (tassi di interesse di competenza della banca centrale) da quella fiscale (tasse e spesa pubblica di competenza del governo) era il primo tassello di un progetto destinato a depotenziare i sistemi democratici che, sotto la spinta delle rivendicazioni operaie del tempo, avrebbero potuto essere orientati verso politiche “troppo di sinistra”.
Con l’introduzione della moneta unica europea, la politica monetaria è stata definitivamente messa al sicuro dal “pericolo” democratico. Quanto alla politica fiscale, la sterilizzazione dalla possibile influenza del voto popolare è stata garantita da una serie di norme europee (come il Fiscal Compact) approvate da parlamenti nazionali (si pensi a quello italiano) composti da politici al servizio dei vari capi di partito. Il risultato è che, oggi, le leve del governo dell’economia sono nelle mani di illuminati potentati economici e finanziari liberi, finalmente, di decidere senza dover perdere tempo per convincere quegli ignoranti straccioni dei normali cittadini.
Sarà difficile ribaltare questa condizione. L’Unione Europea, da speranza di pace e concordia tra i popoli del vecchio continente, si è trasformata in uno strumento usato da gruppi di potere per annullare le conquiste ottenute dal movimento dei lavoratori a partire dal secondo dopoguerra. L’attuazione di questo progetto sta affossando l’economia dei Paesi europei, scatenando dinamiche sociali ampiamente prevedibili: deindustrializzazione, disoccupazione, impoverimento della classe media, precarizzazione del futuro delle giovani generazioni. Fenomeni che stanno creando un diffuso sentimento di rancore di tutti contro tutti. In questo clima di paura, nella depressa fantasia delle persone, i nemici si moltiplicano: gli immigrati, i nomadi, i politici faccendieri, i sindacalisti imboscati, i lavavetri agli incroci stradali, i tedeschi (o gli italiani, a seconda dei punti di vista), etc.. Contemporaneamente, venendo a mancare una lucida analisi della situazione, si sta perdendo la capacità di organizzarsi e quindi la fiducia nell’azione diretta collettiva. Da qui il proliferare di movimenti leaderistici: con una semplificazione mentale, comprensibile, ma totalmente sbagliata, ci si rifugia nel tentativo di riportare in vita l’ordine di un passato idealizzato. Nella figura carismatica del capo si cerca il detentore della sola ricetta infallibile per “risanare” una società degenerata che, senza interventi autoritari, sarà irrimediabilmente destinata al collasso. Non vi ricorda, con tutte le differenze del caso, una tragica esperienza storica italiana del secolo scorso?
È la melma in cui attecchiscono le forze della destra estrema. Da qui la sapiente ricollocazione politica della Lega Nord, che da partito separatista sta trasformandosi, non senza una certa intelligenza politica, in una forza nazionale reazionaria, appoggiandosi su gruppi fascisti come Forza Nuova o Casa Pound e civettando con la Russia di Putin.
D’altra parte, il panorama politico nazionale è sconfortante: il declino (anche fisico) di Berlusconi si riflette sul suo partito personale, affollato di nani e ballerine incapaci finanche di comprendere la situazione in cui si trovano. I centristi (Alfano, Casini e ciò che resta di Scelta Civica) appaiono sempre più patetici nella loro insipienza. Gli ex fascisti di Fratelli d’Italia sono stati scavalcati a destra dal Salvini e faticano a trovare uno spazio politico agibile. I marxisti sono talmente sicuri della bontà della loro proposta politica da nascondersi dietro il nome di Tsipras. Resta il partito democratico, dove gli epigoni del vecchio partito comunista si sono fatti scippare la cabina di comando dagli ex democristiani (invero più dinamici, anche se altrettanto presuntuosi). Il punto è che il PD è il partito che ha giocato tutte le sue carte sul ruolo di europeista (inde)fesso, spesso ignorando i più elementari interessi nazionali. Appare, pertanto, poco credibile che possa attuare la rottura che sarebbe necessaria in questo momento. È molto difficile si vada oltre la stucchevole pantomima sui decimali del rapporto deficit / PIL, cui abbiamo assistito recentemente, tra il governo di Roma e la Commissione Europea di Bruxelles.
Il problema è che nelle condizioni date, partecipazione ad un’unione monetaria con i noti vincoli posti all’azione della Banca Centrale Europea e la mancanza di una fiscalità a livello sovranazionale, i problemi del bilancio pubblico italiano appaiono sempre più ingestibili.
Ogni anno si spendono per interessi tra gli 80 e i 90 miliardi di euro; l’avanzo primario (entrate pubbliche meno le spese pubbliche al netto degli interessi) non va oltre i 30 – 35 miliardi di euro: ciò implica un aumento del debito tra i 45 e i 60 miliardi annuali. Con un’economia che non cresce e l’inflazione ormai a zero se ne ricava che la sostenibilità del debito pubblico italiano è ormai al lumicino.
Questo Paese avrebbe bisogno di ingenti investimenti in istruzione, ricerca scientifica, infrastrutture, tecnologia per riprendere a funzionare in maniera decente. Si tratta di investimenti i cui ritorni si misurano in termini di almeno un decennio. Sono quindi alla portata solo di istituzioni pubbliche. D’altra parte, è ormai esperienza comune l’incapacità delle varie articolazioni dello Stato nell’erogare servizi di qualità accettabile: dai trasporti alla raccolta dei rifiuti, dalla sanità alle modalità per il pagamento delle tasse si trovano, quando va bene, ottusità, inefficienza, approssimazione, disinteresse e superficialità. Il terreno ottimale su cui alligna la corruzione e si sviluppano i tentacoli della criminalità organizzata. Il caso di Roma, che coinvolge, uniti nella ricerca del denaro facile, esponenti PD ed estrema destra eversiva è emblematico del cancro che sta trasformando le amministrazioni pubbliche italiane in centri di malaffare in combutta con le mafie.
Qualche settimana fa è partita la raccolta delle firme per il referendum sull’euro promosso dal Movimento 5 Stelle. Si può essere d’accordo o meno sull’opportunità di uscire unilateralmente dalla moneta unica europea, così come dovrebbe essere ben nota la sostanziale inefficacia dello strumento referendario (in questo caso, per di più, solo consultivo). Tuttavia, questa potrebbe essere un’occasione, forse l’ultima, per cercare di aprire un dibattito alla luce del sole sulle scelte economiche (in definitiva anche politiche) prese in un ristretto ambito con la finalità di strozzare i lavoratori italiani ed europei.
Il tempo stringe e potrebbero non esservi altre possibilità in futuro.